Studio di Diritto Tributario Napoli

Corte Cassazione Ordinanza 10377/22 del 31-03-2022

In tema di responsabilità solidale, di cui all’art. 14 del D.Lgs. n. 472 del 1997, per i debiti pregressi relativi all’azienda ceduta, soggetto passivo dell’imposta nei cui confronti deve essere svolta l’attività accertativa è esclusivamente il cedente, nei cui soli confronti si è realizzato il presupposto impositivo; correttamente, quindi, l’ A.F. provvede, nei confronti del cessionario, alla mera iscrizione a ruolo dell’importo non versato dal cedente, in forza della citata responsabilità solidale, senza che sia necessario un autonomo accertamento.

L’Ordinanza […]
dall’esposizione in fatto della sentenza censurata si evince che: Equitalia Nord s.p.a. aveva notificato, a titolo di responsabilità solidale, due cartelle di pagamento alla società X (di seguito: la contribuente), relative all’anno di imposta 2006, a seguito di iscrizioni a ruolo effettuate dall’Agenzia delle entrate nei confronti della società Y in quanto quest’ultima società aveva ceduto l’azienda a X gravata da ingenti debiti con l’amministrazione finanziaria e si era poi cancellata dal registro delle imprese e cessata l’attività; avverso le cartelle di pagamento la contribuente aveva proposto ricorso che era stato rigettato dalla Commissione tributaria provinciale di Milano; avverso la pronuncia del giudice di primo grado la contribuente aveva proposto appello; la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha rigettato l’appello, in particolare ha ritenuto che: dalla successione logicocronologica delle fasi principali della vicenda in esame poteva ritenersi sussistente la prova che l’unitaria operazione posta in essere con la cessione dell’azienda alla contribuente era stata attuata in frode ai creditori, con conseguente legittima emissione 2 delle cartelle di pagamento a titolo di responsabilità solidale nei confronti della contribuente; non era necessaria alcuna ulteriore allegazione oltre alla contestazione della responsabilità solidale e le cartelle di pagamento erano sufficientemente motivate; non assumeva alcuna rilevanza la circostanza che i soci della contribuente non erano stati destinatari di riparto dell’attivo né era fondato il motivo di appello con il quale si era prospettato che le cartelle erano nulle in quanto notificate a soggetto estinto; la contribuente ha quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza affidato a otto motivi di censura, illustrato con successiva memoria, cui hanno resistito sia l’Agenzia delle entrate che Equitalia Nord s.p.a. depositando rispettivi controricorsi; Equitalia Nord s.p.a. ha depositato memoria; ritenuto che: con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell’art. 3, legge n. 241/1990, e dell’art. 7, legge n. 212/2000, per avere erroneamente ritenuto che la cartella di pagamento fosse adeguatamente motivata; evidenzia parte ricorrente che nella cartella di pagamento era unicamente riportato il riferimento alla responsabilità a titolo solidale ai sensi dell’art. 14, d. Igs. n. 472/1997, senza alcuna specifica indicazione della tipologia di responsabilità era stata fatta valere (se ordinaria ovvero per frode ai creditori), delle ragioni per cui la contribuente era stata identificata come responsabile solidale, e senza avere allegato l’atto di integrazione cui si faceva riferimento nella cartella di pagamento; il motivo è infondato; va in primo luogo osservato che il profilo di censura relativo alla mancanza di specifica indicazione della tipologia di responsabilità fatta valere con la cartella di pagamento, se ordinaria o per frode ai creditori, non risulta coerente con quelle che erano state le ragioni 3 di doglianze proposte dalla ricorrente sia in primo grado che in appello, secondo quanto riprodotto dalla stessa nel proprio ricorso; in realtà, stando a quanto riportato a pag. 7 del ricorso, la ragione di doglianza aveva avuto riguardo alla circostanza che “la cartella impugnata non riporta alcuna motivazione, né prova sulla responsabilità del cessionario, ritenuta non soggetta a limitazione”, in quanto conteneva solo, secondo l’assunto della contribuente, l’indicazione del destinatario dell’atto e della sua responsabilità ai sensi dell’art. 14, d.lgs. n. 472/1997, sicchè, sempre secondo quanto riportato, la illegittimità della cartella derivava dalla circostanza che “nessuna, prova o argomento presuntivo sono contenuti nell’atto, che così viola l’art. 7, legge n. 212/2000”; anche l’atto di appello, secondo quanto riportato dalla contribuente (vd. pag. 12) prospettava, come ragione di doglianza, la mancata “indicazione dei presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione”; in realtà, dunque, quel che la contribuente lamentava, sia in primo grado che in appello, era la mancata specificazione delle circostanze per le quali si era ritenuto di dovere ad essa attribuire la responsabilità solidale di cui all’art. 14, cit.; la stessa contribuente, peraltro, aveva evidenziato che non era stata compiuta alcuna specifica indicazione della presunzione della frode di cui all’art. 14, comma 5. cit., introducendo, pertanto essa stessa la questione della attribuzione della responsabilità a titolo di frode, sebbene negandola per mancata specificazione dei presupposti contemplati dal suddetto comma; la ricostruzione, peraltro, delle effettive ragioni di contestazione, come sopra delineate, trovano conforto nella stessa ricostruzione compiuta dalla sentenza censurata laddove la questione del difetto di motivazione è stata focalizzata entro la questione della mancata allegazione dell’atto di integrazione nonché della mancanza di prova della responsabilità, ed è in coerenza con tale delimitazione di fondo che la pronuncia censurata ha ritenuto che “nella cartella di 4 pagamento viene in modo esplicito indicato che la notifica della cartella viene posta in essere nei confronti della società X in qualità di coobbligato ex art. 14, d.lgs. n. 472/1997″, evidenziando, in tal modo, che, diversamente da quanto sostenuto dalla contribuente, nella cartella di pagamento erano stati specificamente indicati i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche posti a fondamento della pretesa; la suddetta affermazione del giudice del gravame non può dirsi viziata per violazione di legge; ed invero, la circostanza che, in forza dell’art. 14, cit., è estesa al cessionario la responsabilità solidale nel pagamento, assume rilevanza ai fini della definizione della questione relativa all’obbligo di motivazione della cartella di pagamento; è nei confronti del cedente che deve essere svolta l’attività accertativa, essendo questi il soggetto passivo, poiché è nei suoi confronti che si è realizzato il presupposto impositivo, in particolare la cessione del bene, il che implica che è nei confronti del medesimo che deve essere notificato, eventualmente, un avviso di accertamento contenente la motivazione nella quale deve specificamente essere contestata la sussistenza dei presupposti per la pretesa impositiva; nei confronti del cessionario, non essendo il soggetto passivo, correttamente l’amministrazione finanziaria provvede alla mera iscrizione a ruolo dell’importo non versato dal cedente, in forza della responsabilità solidale configurata dalla previsione di cui all’art. 14, cit.; quel che dunque rileva, ai fini dell’assolvimento dell’obbligo di motivazione della cartella di pagamento allo stesso notificato, è che in essa sia riportata la ragione della pretesa, cioè la estensione, a titolo di responsabilità solidale, della richiesta di pagamento del tributo di cui è soggetto passivo il cedente, potendo, sotto tale profilo, ritenersi assolto l’onere di motivazione mediante il mero 5 riferimento alla previsione di cui all’art. 14, cit., come avvenuto nella presente fattispecie; né può valere, pertanto, l’ulteriore profilo relativo alla mancata indicazione delle specifiche ragioni per le quali la ricorrente è identificata quale responsabile in via solidale, posto che tale profilo deriva dalla messa a conoscenza della circostanza che la pretesa è fatta valere proprio in considerazione della estensione nei confronti della cessionaria, in via solidale, della responsabilità già gravante sulla cedente per il pagamento dei debiti tributari; il riferimento, poi, all’atto di integrazione e alla sua mancata allegazione è privo di rilievo, in quanto nulla aggiunge alla conoscenza, compiuta nella cartella di pagamento, del titolo della sua responsabilità, come chiaramente precisato nel suddetto atto impositivo; con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., per violazione dell’art. 112, cod. proc. civ., per vizio di extrapetizione o ultrapetizione circa la sussistenza della cessione in frode ai creditori tributari di cui all’art. 14, comma 4, d.lgs. n. 472/1997, essendo stata contestata nella cartella di pagamento, genericamente, la responsabilità di cui all’art. 14, cit.; il motivo è infondato; le considerazioni svolte con riferimento al primo motivo di ricorso hanno valore anche ai fini della definizione del presente motivo; come si è visto, il giudice del gravame ha statuito entro i limiti dell’oggetto del giudizio posto alla sua attenzione, avendo ragionato secondo l’intera estensione dell’ambito di applicazione di cui alla previsione contenuta nell’art. 14, cit.; d’altro lato, la questione prospettata non si presenta connotata da specifica rilevanza; la disposizione normativa di cui all’ad 14, d.lgs. n. 472 del 1997, disciplina la responsabilità per i debiti conseguenti alle violazioni tributarie compiute dal cedente e, sotto tale profilo, prevede, al 6 comma 1, che il cessionario è responsabile in solido, fatto salvo il beneficio della preventiva escussione del cedente ed entro i limiti del valore dell’azienda o del ramo d’azienda, per il pagamento dell’imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti, nonché per quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore; al secondo comma, poi, prevede che l’obbligazione del cessionario è limitata al debito risultante, alla data del trasferimento, dagli atti degli uffici dell’amministrazione finanziaria e degli enti preposti all’accertamento dei tributi di loro competenza; i successivi commi 4 e 5, inoltre, disciplinano la specifica ipotesi in cui alla base della cessione vi sia un accordo fraudolento, in particolare: al comma 4, si prevede che la responsabilità del cessionario non è soggetta alle limitazioni previste nello stesso articolo qualora la cessione sia stata attuata in frode dei crediti tributari, ancorché essa sia avvenuta con trasferimento frazionato di singoli beni; il comma 5, inoltre, enuncia la regola che la frode si presume, salvo prova contraria, quando il trasferimento sia effettuato entro sei mesi dalla constatazione di una violazione penalmente rilevante; è quindi indubbio che la previsione normativa in esame attribuisce, sia in caso di responsabilità a titolo ordinario che per frode ai creditori, una responsabilità solidale nei confronti del cessionario; l’elemento differenziale è dato dalla circostanza che: nel primo caso, la responsabilità solidale può trovare specifiche limitazioni (beneficium excussionis, limitazione di responsabilità entro il valore della cessione della azienda o del ramo di azienda, limitazione di responsabilità sotto il profilo temporale, ovvero ancora esclusione di responsabilità per i debiti non risultanti, alla data del trasferimento, dagli atti degli uffici dell’amministrazione finanziaria e degli enti preposti all’accertamento dei tributi di loro competenza); nel secondo caso, cioè di accordo fraudolento, dovendosi escludere ogni 7 limitazione di responsabilità del cessionario (art. 14 comma 4), introducendosi, peraltro, una presunzione legale iuris tantum di cessione in frode quando il trasferimento sia effettuato entro sei mesi dalla constatazione di una violazione penalmente rilevante” (art. 14 comma 5); la questione prospettata, dunque, avrebbe eventualmente potuto avere rilevanza ove la contribuente, nel lamentare la non corretta applicazione da parte del giudice del gravame dei presupposti di responsabilità di cui al comma 4, dell’art. 14, cit., avesse contestato la sussistenza di circostanze limitative della propria responsabilità solidale (secondo quanto previsto nei commi 1, 2 e 3, art. 14, cit.), ma tale profilo non risulta coltivato in questo giudizio; ciò precisato, una volta che è stata notificata al cessionario la cartella di pagamento al fine di far valere nei confronti del medesimo la responsabilità solidale per i debiti tributari della cedente, ed in assenza di specifica contestazione del contribuente, rientra nel potere di qualificazione del giudice del merito stabilire su quali presupposti specifici sussiste la suddetta responsabilità, verificando se ricorra l’ipotesi ordinaria della responsabilità, con le conseguenti limitazioni in favore del cessionario, ovvero quella basata sull’accordo fraudolento, distinguendosi, in tale ambito, l’onere della prova gravante sulle parti, ai sensi dell’art. 14, comma 4 e 5, cit.; non può quindi trovare accoglimento il presente motivo di ricorso con il quale si censura la sentenza per vizio di ultrapetizione o di extrapetizione, in quanto, come precisato, con la cartella di pagamento l’amministrazione finanziaria aveva preteso il pagamento nei confronti della contribuente dell’imposta e delle sanzioni sulla base della attribuzione nei confronti della stessa della responsabilità solidale con la cedente, sicchè, in questo ambito, il giudice del gravame, sulla base degli elementi di prova forniti dall’amministrazione finanziaria, ha correttamente ricondotto la fattispecie, nell’ambito della specifica disciplina di cui all’art. 14, comma 4, avendo rilevato che sussisteva nella fattispecie un accordo 8 fraudolento da cui conseguiva la responsabilità solidale, senza limitazioni, della contribuente nella sua qualità di cessionaria, sicchè si è pronunciato entro i limiti della pretesa, non configurandosi, pertanto, alcuna violazione dell’art. 112, cod. proc. civ.; con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., per violazione dell’art. 112, cod., proc. civ., per omessa pronuncia sul motivo relativo all’assenza di un atto o provvedimento presupposto che accertasse la responsabilità della società contribuente, ai sensi dell’art. 14, d. Igs. n. 472/1997; va rilevato, in primo luogo, che parte ricorrente ha assolto all’onere di specificità del motivo, avendo riportato sia il contenuto del ricorso di primo grado che dell’atto di appello dai quali risulta che effettivamente la questione era stata proposta in entrambi i gradi di giudizio; il giudice del gravame, pur avendo dato atto, in sede di svolgimento del processo, della proposizione in appello, della ragione di doglianza in esame, non si è espressamente pronunciato sul punto, neppure implicitamente; tuttavia, in applicazione della previsione di cui all’art. 384, cod. proc. civ., la questione può essere risolta in questa sede; va quindi osservato, come già precisato in sede di esame del primo motivo di ricorso, che la circostanza che, in forza dell’art. 14, cit., è estesa al cessionario la responsabilità solidale nel pagamento, assume rilevanza ai fini della definizione della questione relativa alla necessità di una previa attività accertativa nei confronti del medesimo; ed invero, è nei confronti del cedente che deve essere svolta l’attività accertativa, essendo questi il soggetto passivo, poiché è nei suoi confronti che si è realizzato il presupposto impositivo, in particolare la cessione del bene: nei confronti del cessionario, non essendo il soggetto passivo, correttamente l’amministrazione finanziaria provvede alla mera iscrizione a ruolo dell’importo non versato dal 9 cedente, in forza della responsabilità solidale configurata dalla previsione di cui all’art. 14, cit., senza che sia necessario che la cartella sia preceduta da un previo atto di accertamento nei confronti del cessionario; con il quarto motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., per violazione dell’art. 132, comma secondo, n. 4), cod. proc. civ., per avere, con una motivazione apodittica, apparente e perplessa, ritenuto sussistente la cessione in frode dei crediti tributari, avendo fatto riferimento al semplice fatto del trasferimento dei rami d’azienda alla contribuente ed al fatto che le due società, cedente e cessionaria, recavano compagini societarie in parte coincidenti; secondo parte ricorrente, sia la circostanza dell’avvenuto “svuotamento” di una società a favore dell’altra, sia l’identità dei soci non possono costituire elementi che, da soli, possano integrare la frode, dovendosi, invece, accertare se i crediti tributari sarebbero stati comunque soddisfatti attraverso l’ordinaria responsabilità del cessionario, verificando l’esistenza di un danno, almeno potenziale, per i suddetti crediti; il motivo è infondato; va premesso che secondo questa Corte (Cass. Sez. U., 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054) l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integri un error in procedendo che comporta la nullità della sentenza nel caso di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”; è stato ulteriormente precisato che di “motivazione apparente” o di “motivazione perplessa e incomprensibile” può parlarsi laddove essa non renda “percepibili le ragioni della decisione, perchè consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talchè essa non 10 consenta alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice” (Cass., Sez. U., 3 novembre 2016, n. 22232; Cass. Sez. U., 5 aprile 2016, n. 16599); infine, si è affermato che ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass. civ., 7 aprile 2017, n. 9105) e che, infine, il giudice di merito è tenuto a dare conto, in modo comprensibile e coerente rispetto alle evidenze processuali, del percorso logico compiuto al fine di accogliere o rigettare la domanda proposta, dovendosi ritenere viziata per apparenza la motivazione meramente assertiva o riferita solo complessivamente alle produzioni in atti (Cass. civ., 30 maggio 2019, n. 14762); con riferimento al caso di specie, il giudice ha chiaramente esposto il procedimento logico seguito al fine di pervenire alla considerazione conclusiva che la cessione dell’azienda era avvenuta con l’intento fraudolento finalizzato a sottrarre ai crediti tributari la garanzia patrimoniale del cedente; sotto tale profilo, ha ricostruito nella sua sequenza temporale l’operazione posta in essere ed ha compiuto una valutazione unitaria delle singole fasi in cui la stessa è stata realizzata, evidenziando che: la società cedente Le Vele s.r.l. aveva ricevuto la notifica di numerose cartelle di pagamento per cifre rilevanti e che la ctp di Torino aveva dichiarato inammissibile il ricorso; alcuni mesi dopo la pronuncia, era stata costituita, dai soci della società cedente, la società contribuente II Gozzo s.r.I.; due soci della società cedente, poco tempo dopo la costituzione, avevano ceduto le proprie quote della società cedente all’altro socio della medesima società, che, in pari data, tuttavia, aveva provveduto a cedere le proprie quote della società Il Gozzo s.r.l. agli altri due soci; sempre nella stessa data, la 11 società il Gozzo s.r.l. aveva acquistato l’azienda da parte della società Le Vele s.r.I.; evidenzia quindi il giudice del gravame che, all’esito di queste cessioni incrociate, gli stessi soci che operavano nella società Le Vele s.r.I. avevano, in realtà, continuato ad operare nella nuova società, dopo essersi liberati delle quote della società Le Vele s.r.I., precisando che, “in tal modo, in caso di verifica da parte dell’Agenzia delle entrate, la cessionaria II Gozzo s.r.l. appare avere una compagine societaria del tutto estranea a quella delle Vele s.r.I., in quanto i due soci (Becchini e Delmastro) che gestiscono la società cessionaria non risultano essere titolari di quote della cedente Le Vele s.r.I., per essersene formalmente spogliati a favore di Dogliani (..). Lo scambio di quote della cedente e della cessionaria, che avviene ed intercorre tra gli stessi soggettí, a distanza di pochi mesi dalla strumentale costituzione della società cessionaria II Gozzo s.r.I., dimostra che l’operazione è preordinata dagli stessi soggetti che realizzano un’operazione unitaria per diversificare formalmente i soggetti operanti all’interno del Gozzo s.r.l. dai soggetti operanti nella società Le Vele s.r.l.”; in sostanza, nel ragionamento logico seguito, il giudice del gravame ha chiaramente evidenziato su quali elementi si è fondata la propria ricostruzione della esistenza di un accordo fraudolento: le singole circostanze (esistenza di una ingente esposizione debitoria della società cedente già oggetto di pretesa da parte dell’amministrazione finanziaria; costituzione di nuova società; operazioni contestuali di cessioni di quote societarie) sono state valorizzate al fine di evidenziare la finalità di “mimetizzare l’identità e la coincidenza della titolarità delle quote in capo agli stessi soggetti nell’ambito della società cedente e della società cessionaria” non può quindi ragionarsi in termini di motivazione perplessa od apparente ovvero apodittica, sicchè non sussiste il vizio prospettato dalla ricorrente; 12 con il quinto motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell’art. 2729, cod. civ., per avere erroneamente presunto la sussistenza della frode sulla base dello svuotamento della società cedente e dell’identità dei soci tra la società cedente e la società cessionaria, non essendo tali elementi sufficienti ad inferiore l’esistenza di una frode in danno dei crediti tributari; il motivo è infondato; come evidenziato in sede di esame del quarto motivo di ricorso, la motivazione del giudice del gravame ha preso in considerazione una pluralità di circostanze fattuali, fra le quali quelle indicati nel presente motivo e nella stessa si è evidenziato come le stesse, unitamente alle altre circostanze fattuali (ingente esposizione debitoria, contestualità temporale delle rispettive cessioni, nuova costituzione della società cessionaria) dovevano condurre a ritenere sussistente l’intento fraudolento posto in essere al fine di sottrarre ai crediti tributari la garanzia patrimoniale; è quindi nella valutazione complessiva delle suddette circostanze fattuali che il giudice del gravame ha, quindi, ritenuto sussistente la prova dell’accordo fraudolento, sicchè non può ragionarsi in termini di violazione delle regole presuntive di cui all’art. 2729, cod. civ.; con il sesto motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione dell’art. 14, comma 4, d.lgs. n. 472/1997, per avere erroneamente ritenuto che, per provare la frode in danno dei crediti tributari fosse sufficiente dimostrare l’identità dei soci della società cedente e di quella cessionaria, non essendo, invece, tale circostanza sufficiente, essendo necessario un quid pluris che dimostri l’intento di sottrarsi al pagamento delle imposte; il motivo è inammissibile; lo stesso, invero, non tiene conto della ratio decidendi della pronuncia censurata che, come già visto, ha individuato una molteplicità di elementi indiziari che, valutati nella loro complessità 13 (e non limitati solo alla circostanza della identità dei soci), hanno condotto il giudice del gravame a ritenere provata la frode in danno dei crediti tributari; con il settimo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell’art. 2495, cod. civ., per avere ritenuto legittima l’iscrizione a ruolo nei confronti della società cedente nonostante il fatto che la stessa era stata cancellata dal registro delle imprese ed estinta; il motivo è infondato; questa Corte (Cass. civ., 17 marzo 2021, n. 7545) ha di recente affermato il seguente principio di diritto: “In tema di responsabilità solidale del cessionario di azienda o di un ramo di azienda, la iscrizione a ruolo del debito tributario della società cedente deve essere eseguita nei confronti di quest’ultima, in quanto soggetto passivo del tributo, anche in caso di cancellazione dal registro delle imprese e conseguente estinzione”; in particolare, la suddetta pronuncia ha ribadito quanto in precedenza già affermato da questa Corte (Cass. civ., 28 dicembre 2017, n. 31037), cioè che non ha fondamento la tesi per cui, successivamente al verificarsi della estinzione della società per effetto della cancellazione dal registro delle imprese, non sia più possibile l’iscrizione a ruolo a nome della società medesima di tributi da essa non versati e che, per converso, ove tale iscrizione venga effettuata, la stessa debba considerarsi nulla; invero, è stato precisato che, a norma del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, comma 3, la formazione del ruolo va operata al nome del contribuente, indipendentemente dal fatto che lo stesso sia oppure no, al momento di tale iscrizione, ancora esistente; è stato, invero, osservato che la giurisprudenza di questa Corte ne ha tratto, con riferimento al contribuente persona fisica, il principio, costantemente affermato, secondo cui la formazione del ruolo va operata al nome del contribuente pur dopo il suo decesso e quindi 14 può ben verificarsi che il ruolo sia intestato al defunto e che tenuti al pagamento siano i suoi eredi (v. Cass. 08/04/2016, n. 6856; Cass. 09/01/2014, n. 228; Cass. 19/10/1988, n. 5691, secondo cui, in tal caso, “la notifica della cartella esattoriale deve essere effettuata agli eredi personalmente e nel loro domicilio nel solo caso in cui essi abbiano tempestivamente provveduto alla comunicazione prescritta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 65, u.c., potendo altrimenti avvenire nei loro confronti, collettivamente ed impersonalmente nel domicilio del defunto, senza limiti di tempo”); si è, quindi, ritenuto che non v’è motivo per non affermare altrettanto nell’ipotesi in cui il soggetto estinto sia una società, ancorchè di persone, valendo anche per essa il medesimo rilievo per cui la norma (ossia l’art. 12, comma 3, cit.), non richiede l’attuale esistenza del contribuente al momento della formazione del ruolo a suo carico; del tutto correttamente, poi, deve ritenersi che il debito tributario validamente iscritto a ruolo nei confronti della contribuente (società estinta) è azionabile nei confronti della società cessionaria; il cessionario o conferitario d’azienda risponde di una obbligazione propria, perchè subentra al cedente, e ne risponde in via sussidiaria, in base al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 14, pur non avendo realizzato il fatto indice di capacità contributiva; in tale caso, l’ente creditore agisce, per mezzo dell’agente della riscossione, azionando un titolo, ossia il ruolo, che si è formato nei confronti del proprio debitore d’imposta, ossia dell’obbligato in via principale, ma è pur sempre quel titolo che diviene riferibile al cessionario quale coobbligato in via sussidiaria, anche se in base a presupposti distinti; la circostanza che, dunque, la responsabilità del cessionario sia conseguente alla cessione dell’azienda e sia attivata in caso di mancato pagamento del debito tributario da parte del cedente non comporta che, nel caso di cancellazione dal registro delle imprese della società cedente, sia illegittima l’iscrizione a ruolo eseguita nei 15 confronti della società estinta, con conseguente illegittimità della cartella di pagamento notificata nei confronti della società cessionaria; non correttamente, peraltro, in memoria, parte ricorrente fa riferimento all’orientamento di questa Corte relativo alla notifica dell’accertamento intestato alla società di capitali estinta per cancellazione dal registro delle imprese; nella circostanza ipotizzata dalla ricorrente, l’avvenuta estinzione della società comporta la successione dei soci nell’obbligazione tributaria, con la necessità che l’accertamento sia compiuto nei confronti dei soci in quanto legittimati passivamente, mentre la vicenda in esame attiene alla corretta iscrizione a ruolo dell’importo dovuto e alla successiva notifica della cartella di pagamento nei confronti del responsabile solidale, sicché, come precisato, l’iscrizione a ruolo del debito tributario della società cedente deve essere eseguita nei confronti di quest’ultima, in quanto soggetto passivo del tributo, anche in caso di cancellazione dal registro delle imprese e conseguente estinzione; con l’ottavo motivo di ricorso si prospetta l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, d.lgs. n. 472/1997 per violazione =CM= della legge delega contenuta nell’art. 3, comma 133, legge n. 662/1996 e dell’art. 76, Cost.; la questione è manifestamente infondata; secondo parte ricorrente, la previsione di cui all’art. 14, laddove configura una responsabilità del cessionario d’azienda in via solidale con il cedente anche per il pagamento dell’imposta, non solo per le sanzioni, avrebbe ecceduto i limiti della legge-delega, in particolare i principi e criteri direttivi indicati dall’art. 3, comma 133, legge n. 23 dicembre 1996, n. 662; evidenzia, a tal proposito, la ricorrente che la delega al Governo consisteva unicamente nella emanazione di uno o più decreti legislativi recanti disposizioni per la revisione organica ed il completamento della disciplina delle sanzioni tributarie non penali, 16 sicchè era limitata alla revisione organica e di completamento della disciplina delle sanzioni tributarie, sicchè sarebbe da considerarsi oltre i limiti fissati dalla legge di delega, avendo il legislatore delegato introdotto una disciplina di responsabilità solidale non limitata alle sanzioni ma anche alle imposte; in realtà, la previsione contenuta nell’art. 14, cit., nella parte relativa alla obbligazione solidale del cessionario d’azienda, ripropone la previsione di responsabilità solidale, relativamente al pagamento dell’imposta, già contenuta nell’art. 19, legge N. 7 gennaio 1929, n. 4, della quale opera, quindi, una trasposizione nell’ambito della nuova previsione finalizzata ad introdurre, secondo la delega ricevuta, il riassetto normativo sanzionatorio, eliminando il riferimento alla sopratassa ed alla pena pecuniaria contenuta nel precedente test normativo, tanto che, con il successivo articolo 29, d.lgs. n. 472/1997, se ne prevede l’abrogazione; la suddetta previsione normativa, contenuta nell’art. 19, cit., prevedeva già la responsabilità solidale del cessionario per il pagamento dell’imposta e la non applicazione del limite di “responsabilità qualora il trasferimento sia fatto in frode dei diritti dell’Amministrazione finanziaria” nonché la presunzione della frode, salvo prova contraria, quando il trasferimento era effettuato entro tre mesi dall’accertamento; quel che rileva, dunque, ai fini della definizione della controversia in esame, è la circostanza che l’art. 14, cit., non ha innovato in alcun modo il precedente regime di solidarietà del cessionario ai fini del pagamento dell’imposta, per quel che rileva, in relazione al presente thema decidendum ed alle circostanze sulle quali si è basato l’accertamento del giudice, circa la non applicabilità dei limiti di responsabilità quando sia provato dall’amministrazione finanziaria che il trasferimento si basi su di un accordo frodatorio; in conclusione, è inammissibile il sesto motivo di ricorso, infondati i restanti, con conseguente rigetto e condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore delle controricorrenti; si dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto. P.Q.M. La Corte: rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore delle controricorrenti che si liquidano in euro 2.000,00 per l’Agenzia delle entrate, oltre alle spese prenotate a debito, ed in euro 2.500,00 in favore di Equitalia Nord s.p.a., oltre al rimborso forfettario nella misura del quindici per cento ed a euro 200,00 a titolo di esborsi ed accessori di legge; dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il giorno 10 gennaio 2022.

9 Giugno 2022

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