SOMMARIO:
- Premessa
- Diritto all’anonimato nelle sentenze per motivi legittimi
- Conclusioni
1. Premessa
Nell’odierna società dell’informazione, in cui la rete internet ha una sottile ma incisiva invadenza nelle nostre vite, il concetto di privacy ha assunto, nel tempo, sempre più importanza, tanto da essere oggetto di numerosi interventi legislativi, soprattutto a livello comunitario.
Precedentemente all’attuale connotazione, nata a seguito della creazione e diffusione dei calcolatori elettronici, i quali consentono di raccogliere e trasmettere una serie indistinta di dati ed informazioni personali, il diritto alla privacy veniva definito come “the right to be left alone” ovvero come il diritto ad essere lasciato solo. Il singolo, quindi, godeva di una sfera intima e privata, al riparo dall’altrui intrusione.
Tale concezione è sopravvissuta fino a quando le esigenze di una società tecnologicamente avanzata non hanno richiesto una sua ridefinizione.
Ad oggi, infatti, l’iniziale diritto ad essere lasciati soli si è trasformato nel diritto alla protezione dei dati personali, quale diritto fondamentale della persona, sia all’interno del nostro ordinamento giuridico, che, soprattutto, all’interno di quello comunitario.
Da un punto di vista legislativo, un importante punto di svolta si ha con la direttiva europea 95/46/CE avente ad oggetto il trattamento dei dati personali, la quale ha previsto una espressa disciplina al fine di tutelare le informazioni personali di ciascun individuo, fissando uno standard comune di tutela che gli Stati europei sono obbligati a rispettare.
I suddetti principi sono stati poi recepiti e fatti propri dall’art. 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (cd. Carta di Nizza), la quale rappresenta il primo documento internazionale a contenere una disposizione ad hoc in tema di protezione dei dati personali¹.
Nell’ordinamento giuridico italiano, attualmente, la fonte normativa principale in tema di privacy è il “Codice in materia di protezione dei dati personali” (cd. Codice della privacy), approvato con il D.lgs. n. 196 del 2003, il quale ha ampliato il percorso legislativo compiuto nel nostro paese in tale settore, con l’obiettivo di chiarire che per privacy non si intende unicamente il diritto a non vedere trattati i dati personali senza previo consenso, ma anche l’adozione di cautele tecniche ovvero organizzative che tutti, comprese le persone giuridiche, devono rispettare per trattare in maniera corretta i dati altrui.
2. Diritto all’anonimato nelle sentenze per motivi legittimi.
Connesso al tema della privacy, in ambito giuridico, è rilevante la questione concernente l’oscuramento dei dati dei ricorrenti, in caso di comunicazione e diffusione delle sentenze a terzi soggetti ovvero attraverso la rete.
È di estrema rilevanza in quanto è necessario, in tal caso, effettuare un bilanciamento di principi costituzionalmente garantiti, ovvero la riservatezza del singolo e il principio della generale conoscibilità dei provvedimenti giurisdizionali, quale strumento di democrazia e di informazione giuridica.
Gli art. 51 e 52 del Codice della privacy rappresentano la base legale in tema di divulgazione all’esterno, per scopi di informazione giuridica, delle pronunce giudiziarie. Il primo riguarda specificamente la diffusione dei provvedimenti giudiziari, disponendo che “i dati identificativi delle questioni pendenti dinanzi all’autorità giudiziaria di ogni ordine e grado sono resi accessibili a chi vi abbia interesse anche mediante reti di comunicazione elettronica, ivi compreso il sito istituzionale della medesima autorità nella rete Internet”. L’art. 52, invece, stabilisce i limiti per la diffusione, in ogni forma, del contenuto anche integrale di sentenze e altri provvedimenti giurisdizionali. Quest’ultimo trova applicazione non solo in caso di divulgazione per finalità di informazione giuridica (es. su riviste giuridiche, supporti elettronici), bensì per ogni fattispecie di riproduzione di pronunce giudiziarie.
La regola generale, sancita dal comma 7 del sopracitato art. 52, è quella della diffusione integrale del contenuto delle sentenze e degli altri provvedimenti giurisdizionali, a meno che l’interessato non chieda, per motivi legittimi², con apposita istanza e prima che sia definito il relativo grado di giudizio, che sia apposta sull’originale della sentenza o del provvedimento un’annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione degli stessi in qualsiasi forma e per finalità di informazione giuridica, l’indicazione delle generalità e di altri dati identificativi del medesimo interessato riportati sulla sentenza o provvedimento.
Questo sta a significare che la domanda di oscuramento deve essere specificamente proposta e sostenuta dall’indicazione dei motivi legittimi che la giustificano, non limitandosi ad invocare l’applicazione della norma nello specifico caso concreto.
Tuttavia, la norma in esame non specifica espressamente quali sono questi legittimi motivi che giustificano la richiesta di oscuramento dei dati personali, ma più volte è intervenuta la Corte di Cassazione per cercare di fare chiarezza su tal punto. In particolare, quest’ultima, con recente sentenza n. 22561 del 10 agosto 2021, da un lato ha ribadito che la sussistenza dei legittimi motivi va desunta in conformità ai principi fondamentali del nostro ordinamento³, i quali sono da interpretare come “motivi opportuni” ovvero da intendersi come “meritevolezza delle ragioni addotte” e non come conformità della richiesta a una facoltà prevista dalla legge; dall’altro lato, occupandosi di diritto all’anonimato nelle sentenze tributarie, ha specificato che per “dato personale” s’intende qualsiasi informazione riguardante un soggetto fisico (cd. “interessato”), identificato o identificabile, e che si considera identificabile la persona fisica che può essere individuata, direttamente o indirettamente, attraverso il nome, un numero di identificazione, dati relativi all’ubicazione o ad uno o più elementi caratteristici della sua identità fisica, fisiologica, genetica, psichica, economica, culturale o sociale.
3. Conclusioni
Sulla scia dei numerosi interventi della Corte di Cassazione, è possibile concludere che, seppur dal testo degli articoli oggetto di esame non si desume chiaramente cosa debba intendersi per “motivi legittimi”, la cui sussistenza comporta l’accoglimento dell’istanza di oscuramento dati, in termini generali, una contesa fondata sulla diversa interpretazione di una norma di legge, non contiene alcun dato sensibile, né si tratta di materia particolarmente delicata come, ad esempio, quelle che incidono sui diritti personalissimi, tali da giustificare l’accoglimento della richiesta.
Inoltre, neppure la semplice invocazione dell’applicazione della norma nello specifico caso concreto è idonea a legittimare un possibile accoglimento della richiesta stessa.
La linea interpretativa da seguire, quindi, è unicamente quella di un bilanciamento tra quei principi assunti come fondamentali per il nostro ordinamento, ovvero la riservatezza del singolo e il principio democratico di conoscibilità dei provvedimenti giurisdizionali.
Dott.ssa Annachiara Morabito